Incentivare una vera caccia professionale, che, affiancata alla caccia tradizionale e ricreativa, potrebbe aiutare a mitigare il conflitto cinghiale-uomo. Queste le conclusioni del recente studio “Wild boar populations up, numbers of hunters down? A review of trends and implications for Europe” realizzato da un gruppo di ricercatori guidati dalla biologa Giovanna Massei.
Si tratta - riferisce Mario Chiari sul Cacciatore Italiano - di un nuovo approccio interdisciplinare necessario per invertire la tendenza della crescita delle popolazioni di cinghiali. Secondo i ricercatori, il cui studio si è basato sui dati statistici della caccia forniti da 18 Stati europei dal 1982 al 2012, pur essendo la caccia il principale fattore di riduzione numerica delle popolazioni di cinghiali, presenta tuttavia alcune difficoltà per il raggiungimento di tale obiettivo: sembra che la destrutturazione delle popolazioni e le spinte verso una risposta compensatoria al prelievo venatorio da parte della popolazione di cinghiali hanno portato ad una entrata precoce in riproduzione delle femmine e un conseguente aumento del numero di parti.
La caccia, intesa come attività prettamente ricreativa, non ha arrestato la crescita numerica di questo esemplare fino ad oggi ed è poco probabile che tale approccio possa farlo in futuro senza modifiche sostanziali alla gestione. Tra l'altro anche i modelli di caccia privatistici attuati in altri Paesi europei come Francia, Germania, Spagna ecc.., non hanno risolto i problemi legati ai danni all'agricoltura.
In definitiva la ricerca propone la formazione di veri e propri cacciatori professionisti, l'introduzione di metodi di caccia più efficaci, la valutazione dell'uso di nuovi strumenti per la caccia nei diversi Stati, senza dimenticare di indagare i motivi del calo del numero di cacciatori registrato nel corso nell'ultimo ventennio.