Chi ha da perdere se si accetteranno i parametri di manica larga in uso negli Stati Uniti per la commercializzazione dei prodotti alimentari? Sicuramente l'Italia con il suo grande numero di certificazioni di qualità legati a prodotti simbolo della nostra nazione, come il vino, l'olio, il prosciutto e la mozzarella, solo per fare qualche banale esempio.
Abbiamo il maggior numero di marchi Dop e Igp, ed è uno dei maggior vanti del Paese del sole, tradizionalmente percepito come il luogo del mangiar sano e di qualità. Ma ci perderebbero soprattutto i consumatori, al di là dei marchi di pregio, garantiti in tutti gli acquisti dai rigidi protocolli previsti su sostanze inquinanti e dannose tollerate nei cibi. Sono tantissime quelle bandite in Italia, pochissime negli USA. Tantissimi i controlli sanitari italiani ed europei, blandi e aggirabili quelli d'oltreoceano. Il problema è che questo famigerato TTIP, accordo transatlantico per il commercio e gli investimenti tra Europa e Usa (Transatlantic Trade and Investment Partnership), se da un lato cerca di salvare le economie dei due continenti, facendo ripartire la crescita dei Pil e contenendo l'invasione del gigante cinese, dall'altro rischia di sacrificare sull'altare del libero mercato, tutto ciò che tutela la nostra salute, la nostra tradizione, le tipicità dei nostri territori e la protezione di paesaggio e ambiente.
Il trattato mirerebbe a bypassare le norme nazionali che limitano ciò che è permesso o non permesso in fatto di produzione e vendita dei prodotti, attraverso una revisione degli accordi previsti dal WTO (l'organizzazione mondiale che regola i commerci tra stati). Uno dei punti più controversi è l'introduzione della clausola Investor to State Dispute Settlement (Isds), che permetterebbe alle aziende di fare causa agli Stati davanti ad una corte privata per contestare provvedimenti di legge considerati discriminatori.
In ballo insomma c'è tantissimo, ecco perché si sta organizzando una forte mobilitazione di organizzazioni che combattono contro questo protocollo, tutt'altro che conosciuto, per scongiurarne gli infausti effetti sulle nostre vite. Da consumatori abbiamo il diritto di sapere cosa c'è nel cibo industriale che consumiamo. Questo diritto, sancito anche da un recentissimo e storico voto del Parlamento Europeo sulle provenienze degli ingredienti in etichetta, potrebbe cessare di esistere.
Basti pensare che in America il 96% delle coltivazioni è Ogm, e che gli animali negli allevamenti intensivi vengono bombati con una quantità di ormoni e farmaci per aumentarne la crescita che da noi non è permessa. Il tutto a favore delle produzioni a basso costo, per ingigantire lo strapotere delle multinazionali sui mercati finanziari. Bisogna precisare che di questo trattato, in discussione da anni ormai tra i due continenti, non se ne sono conosciuti i contenuti fino a pochi mesi fa. Il motivo è chiarito da quanto esposto sopra: i consumatori rischiano di perdere molte delle tutele conquistate negli ultimi decenni.