La Corte di Cassazione ha confermato la condanna ad un ristoratore fiorentino che teneva la proprie aragoste sul ghiaccio. Mentre è stata riconosciuta la possibilità di cucinare crostacei ancora vivi, perché “è consuetudine sociale”, il giudice ha invece stabilito che tenerli sul ghiaccio li espone a sofferenze.
Il che ha determinato la conferma della condanna a 5 mila euro per maltrattamento animale. Il tutto era partito nel 2012 da una denuncia della Lav. Il Tribunale di Firenze aveva condannato nel 2014 il proprietario del ristorante sostenendo che i crostacei sono in grado di provare dolore e averne memoria. A nulla era servita la difesa del ristoratore, basata sul fatto che questa è la migliore modalità di conservazione dei crostacei che, per altro, in maniera legale, arrivano già sul ghiaccio dall'America.
La terza sezione penale (sentenza n.30177), ha ritenuto “inammissibile” il ricorso del ristoratore, affermando che “nonostante solo negli ultimi anni diverse ricerche abbiano portato una parte della comunità scientifica a ritenere che i crostacei siano essere senzienti in grado di provare dolore“.
In pratica i crostacei vanno tenuti nell'acquario fino al momento di buttarli vivi nella pentola bollente. Cosa che non costituisce invece maltrattamento. “La particolare modalità di cottura può essere considerata lecita proprio in forza del riconoscimento dell’uso comune”, dice la Cassazione.