L'espansione e la crescita di caprioli e cinghiali ha nei cambiamenti del clima degli ultimi decenni (inverni più miti e particolari condizioni dell'habitat) una delle principali cause. Negli ultimi 100 anni la temperatura si è alzata di 0,6 gradi. Sembra poco ma è moltissimo, considerato che una simile variazione avviene normalmente e naturalmente solo in un lasso di tempo di dieci mila anni.
L'impennata, ormai è assodato, è direttamente causata dalle attività umane. La variazione ha innescato cambiamenti biologici nelle piante e negli animali che andranno avanti presumibilmente per qualche centinaio di anni. L'aumento dell'anidride carbonica nell'atmosfera ha infatti la conseguenza di ridurre la superficie forestale, privilegiando arbusteti e cespuglieti, il che, unito alla riduzione della durata degli inverni, porta all'aumento di specie adatte a questo ambiente. Il capriolo sta aumentando in tutta Europa, soprattutto al centro nord, grazie a maggiori piogge e al minor innevamento del suolo. Idem il cinghiale che dispone di una grande quantità di cibo e deve far fronte ad un minore tasso di mortalità. Considerazioni supportate da un grande lavoro di sintesi realizzato da alcuni biologi austriaci che hanno confrontato i dati degli ultimi 150 anni provenienti da dodici paesi europei, come spiegano in un articolo de Il cacciatore italiano lo studioso Sandro Lovari dell'Università di Siena, insieme ad Alberto Maggi, dell'Università di Pavia.
Perdono terreno invece tutte quelle specie adattate al freddo. Lo scioglimento dei ghiacciai (ad un ritmo impressionante) sta determinando mutamenti repentini e modificando la distribuzione e l'abbondanza della fauna di montagna e dell'Artico. La volpe artica, per esempio, sta arretrando verso il polo e viene gradualmente sostituita dalla volpe rossa. Anche la marmotta non se la passa bene, vedendo aumentato il suo indice di mortalità. Lo scioglimento dei ghiacci causa anche una maggiore erosione costiera, trasformando gli habitat di molte specie.
I fenomeni climatici estremi (alluvioni e bombe d'acqua soprattutto) incidono anche sulla piccola selvaggina, che può essere sottoposta ad un incremento della mortalità, soprattutto di giovani esemplari, e, talvolta comportare la distruzione di intere covate. Il fagiano comune, la starna, la pernice rossa, la pernice sarda sono minacciati anche, nel periodo della dischiusa delle uova, dalla siccità.
L'umidità del terreno, in primavera, è determinante per una crescita erbacea tale da garantire una sufficiente protezione dei nidi dai corvidi e altri predatori. Così come il buon innevamento del terreno durante l'inverno e una sufficiente piovosità in primavera, determinano le condizioni per mantenere stabili le popolazioni. I tetraonidi, adattati a climi molto freddi, sono poi quelli che maggiormente soffrono tali cambiamenti sull'arco alpino. Gli areali si riducono e si frammentano e di fatto pernice bianca e fagiano di monte stanno ritirandosi al nord. Anche per la lepre variabile, adatta a climi più freddi si presentano queste problematiche.
Lepri e conigli possono invece essere penalizzati da inverni miti per l'incremento di patologie parassitarie e per un incremento della mortalità dei piccoli se per primavere eccessivamente calde si anticipa il taglio del foraggio.