Non si ferma l'avanzata del cemento in Italia. Secondo il nuovo Rapporto Ispra sul consumo di suolo, relativo ai dati del 2017, sono sottratte alla natura anche aree protette e aree vincolate per la tutela del paesaggio (coste, fiumi, laghi, vulcani e montagne). Cementificate per l'8% della loro estensione. I nuovi edifici, già evidenti nel 2017, soprattutto nel Nord Italia, rappresentano il 13,2% del territorio vincolato perso nell’ultimo anno.
La superficie naturale si assottiglia di altri 52 km quadrati nell'ultimo anno. Si perdono definitivamente in media di 2 metri quadrati al secondo. Secondo il rapporto i valori sono in aumento nelle regioni in ripresa economica come accade nel Nord-Est del Paese. Tutto questo ha un prezzo, la cifra stimata supera i 2 miliardi di euro all’anno, provocati dalla carenza dei flussi annuali dei servizi ecosistemici che il suolo naturale non potrà più garantire in futuro (tra i quali regolazione del ciclo idrologico, dei nutrienti, del microclima, miglioramento della qualità dell’aria, riduzione dell’erosione).
Ispra pone l'attenzione sul problema del dissesto idrogeologico, segnalando che il 6% delle trasformazioni del 2017 si trova in aree a pericolosità da frana dove si concentra il 12% del totale del suolo artificiale nazionale – ed oltre il 15% in quelle a pericolosità idraulica media.
Il consumo di suolo non tralascia neanche le aree protette: quasi 75 mila ettari sono ormai totalmente impermeabili, anche se la crescita in queste zone è ovviamente inferiore a quella nazionale (0,11% contro lo 0,23%). La maglia nera delle trasformazioni del suolo 2017 va al Parco nazionale dei Monti Sibillini, con oltre 24 ettari di territorio consumato, seguito da quello del Gran Sasso e Monti della Laga, con altri 24 ettari di territorio impermeabilizzati, in gran parte dovuti a costruzioni ed opere successive ai recenti fenomeni sismici del Centro Italia. I Parchi nazionali del Vesuvio, dell'Arcipelago di La Maddalena e del Circeo sono invece le aree tutelate con le maggiori percentuali di suolo divorato.
In linea generale, nell’ultimo anno la gran parte dei mutamenti del suolo (81,7%) è avvenuta in zone al di sotto dei 300 metri (il 46,3% del territorio nazionale). La densità maggiore rispetto alla media nazionale si trova nelle aree costiere, dove l’intensità del fenomeno è più alta rispetto al resto del territorio (2,33 contro 1,73 m2/ha), nelle aree a pericolosità idraulica e nelle aree a vincolo paesaggistico (coste, laghi e fiumi).
Tre infine gli scenari al 2050 (data stabilita per l’azzeramento del consumo di suolo) ipotizzati dall’ISPRA: il primo, in caso di approvazione della legge rimasta ferma in Senato nella scorsa legislatura, vede associarsi ad una progressiva riduzione della velocità di trasformazione una perdita di terreno pari a poco più di 800 km2 tra il 2017 e il 2050. Il secondo, stima un ulteriore consumo di suolo superiore ai 1600 km2 nel caso in cui si mantenesse la velocità registrata nell’ultimo anno. Nel terzo scenario si arriverebbe a superare gli 8mila km2 (superficie pari a quella dei 500 comuni più grandi in Italia partendo da Roma in giù fino a Policoro) nel caso in cui la ripresa economica portasse di nuovo la velocità a valori medi o massimi registrati negli ultimi decenni. Sarebbe come costruire 15 nuove città ogni anno fino al 2050.