A fine mese scadranno i contratti di lavoro di oltre 200 ricercatori dell'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ed entro la fine anno altrettanti seguiranno la stessa sorte: 430 in totale. Il governo ha annunciato che non saranno rinnovati.
Se ci abbia marciato o meno il ministro Brunetta dando loro dei fannulloni e degli assenteisti poco tempo fa, non è dato sapere e non siamo noi a poterlo giudicare. Spiace comunque constatare come in Italia la ricerca pubblica ambientale venga mortificata dai continui tagli di fondi e di personale, relegando quest'ultimo nella gabbia del precariato.
Se vogliamo che l'ambientalismo nostrano si sposti su livelli “europei” e non sia più appannaggio dei soliti “verdastri” ideologizzati, dobbiamo pretendere anche la giusta considerazione da parte di chi ci governa sulla ricerca scientifica. Non dobbiamo dimenticare che l'Ispra è l'unico organo ritenuto idoneo a sentenziare su tempi e specie oggetto di caccia e che è l'ente di riferimento statale in tema di tutela di risorse naturali, inquinamento e fauna. Possiamo quindi ritenerci direttamente coinvolti nella questione.
E' affidato all'Ispra anche il compito di vigilare sulle emissioni di gas nocivi nell'atmosfera secondo i parametri stabiliti dal protocollo di Kyoto per prevenire i danni alla salute dei cittadini, funzione esercitata da molti di quei precari che rimarranno senza lavoro. In particolare le aziende pagano 25 euro per ogni tonnellata di inquinante emessa, se nessuno potrà acquisire i dati probabilmente ciò causer�l’ennesima apertura di una procedura di infrazione europea, con multe a carico dei contribuenti. La Prestigiacomo ha finora declinato le richieste di incontro dei ricercatori ed il silenzio della stampa è pressochè totale.