Come ben sappiamo, una delle cause più eclatanti del calo di selvaggina nelle nostre campagne è dovuto all’agricoltura intensiva. Non solo fitofarmaci e pesticidi, anche le monocolture possono provocare situazioni di degrado delle popolazioni selvatiche. Ne sono un esempio i grandi appezzamenti di mais, uno dei prodotti agricoli più coltivati al mondo per i molti usi alimentari e quelli energetici.
Uno studio del dipartimento di scienze biologiche dell’Università di Vienna e della stessa facoltà della Bishop's University, Québec, Canada ha analizzato gli effetti di questa coltura sulle lepri brune europee e concluso che ne stanno causando un inesorabile declino.
La pianta di mais, dal basso valore nutritivo, finisce infatti per causare gravi carenze di niacina e di amminoacidi essenziali nelle lepri. Carenze che sono emerse dalle analisi epatiche effettuate su esemplari cacciate. Inoltre contando le cicatrici placentari nelle femmine, è stato osservato un considerevole calo di numero di piccoli nati. I risultati mostrano un importante effetto negativo nell'area coltivata a mais sulle concentrazioni epatiche di niacina delle femmine e sulla loro funzione riproduttiva. La ridotta fecondita' delle femmine è stata individuata come la causa principale del progressivo declino di questa specie selvatica.
Per ogni aumento del 10% della superficie coltivata a mais, la differenza tra i conteggi primaverili e autunnali delle lepri è calata in media di 2,2 lepri per 100 ettari. Più mais è stato coltivato in un sito di studio, minore è il numero di cicatrici uterine trovate nelle femmine. I dati disponibili danno la specie in drammatico declino in tutta Europa: Polonia, Danimarca, Croazia, Serbia, Germania, Austria, Bulgaria, Lussemburgo, Paesi Bassi, Slovacchia, Svizzera, Regno Unito. Per quanto riguardo l'Italia il rischio è limitato. Il mais infatti è coltivato in poche zone e non in maniera intensiva.
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