L’odio che scorre sui social, al di là delle legittime opinioni animaliste, può e deve essere punito, soprattutto quando si parla di minacce di morte e di gravi insulti. E’ quanto ci si augura per i responsabili dei commenti violenti a carico del 56enne individuato come responsabile dello sparo che uccise ad agosto scorso l’orsa Amarena, nei confini del Parco d’Abruzzo.
L’uomo, minacciato gravemente in quei giorni, tanto da essere messo sotto scorta per le promesse di morte e le telefonate minatorie ricevute dalla famiglia, aveva sporto denuncia contro ignoti. Oggi il suo avvocato fa sapere che la Polizia postale ha individuato i responsabili delle minacce e che risultano dunque indagate dalla Procura della Repubblica oltre cento persone.
"Non dormo e non mangio, non vivo più – aveva detto l'uomo dopo l'uccisione dell'orsa -. Ricevo in continuazione telefonate e messaggi di morte, hanno perfino chiamato mia madre 85enne, tutta la mia famiglia è sotto una gogna. Ci devi passare per capire quello che sto provando ora. Ho sbagliato; l'ho capito subito dopo aver esploso il colpo. I carabinieri li ho chiamati io".
Parallelamente prosegue l’indagine sull’uccisione dell’orsa. Attualmente il procuratore capo incaricato dell’inchiesta è in attesa delle perizie tecniche necessarie per definire le responsabilità dell’imputato. Sequestrati anche i cellulari dell’uomo e della moglie al fine di ricostruire l’accaduto anche in relazione alle vere intenzioni dell’autore dello sparo.
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