"Non vi è nulla di culturale nella morte di un animale per il divertimento degli spettatori”. E' quanto sostiene il Ministro Brambilla avversando il palio per eccellenza, quello senese, ed altre manifestazioni simili in cui siano coinvolti animali. Si scordino dunque quei comuni, quegli organizzatori e quei popoli fieri delle loro secolari tradizioni, di poter considerare “Patrimonio dell'Italia” i loro palii e di poter accedere ai finanziamenti che il dicastero del turismo ha messo in campo per eventi storici in grado di generare flussi turistici, sotto l'insidacabile giudizio del ministro e dei suoi parametri animalisti.
Ma i cavalli per “il divertimento del pubblico” muoiono anche e soprattutto negli ippodromi. Viene da chiedersi – e per la verità in molti se lo sono chiesto senza ricevere alcuna risposta - come mai la Brambilla non voglia affrontare la questione. Sarà che al mondo dell'ippica la ministra animalista è legata fin dall'infanzia. La sua passione di cavallerizza è testimoniata da alcune foto, ora misteriosamente scomparse dal suo sito web, in cui appare giovanissima mentre cavalca in perfetta tenuta da fantino il suo destriero. Rimosse le foto, rimosso l'argomento. La stampa amica non ne parla, le associazioni animaliste chiudono entrambi gli occhi e tutto ciò permette il perpetuarsi di un enorme giro d'affari, fatto di scommesse e occhiolini strizzati sul benessere animale. Sarà che l'amico Feltri, fervente sostenitore della Coscienza degli Animali, contrario ai palii e salvatore di asini destinati al menù di sagre popolari, di ippica è un grande appassionato, al punto che, nel 2008, l'associazione Nazionale Allevatori Cavallo Trottatore, lo descrive come "il paladino che ha combattuto per noi", ovvero "l'unico a portare l'attenzione dei media il problema - finanziario nrd - dell'ippica". In quei tempi Feltri ammette di aver sottoposto la delicata questione della crisi dell'ippica all'allora ministro Zaia, "uno al quale le vicende equine mi pare stiano davvero a cuore" scriveva Feltri. Pochi mesi dopo Zaia emanava un decreto salva ippica da 15 milioni di euro.
Nel 2005, a seguito della morte sospetta di un cavallo purosangue nel Regno Unito, ripreso anche da alcuni quotidiani nazionali, il giornalista senese Mauro Arigi faceva notare che Libero, il quotidiano all'epoca diretto dal buon Feltri aveva omesso di parlarne. “Immaginatevi – scriveva Aurigi - se invece Best Mate (il nome del cavallo morto in quell'occasione) fosse morto in quella maniera al nostro Palio, dove si corre per vincere, sì, ma dove, unico posto al mondo, chi vince non vede una lira (anzi!), dove non si muovono equivoci interessi finanziari di privati eccellenti (fantini esclusi), ma solo la passione sanguigna e i nervi del popolo, dove non è in gioco nient’altro che la virtù e l’orgoglio civici insieme a sentimenti di appartenenza che esaltano ancora il momento più alto della storia italiana, quello della civiltà comunale. Immaginatevi quale inferno si sarebbe scatenato: paginate sui giornali e strascichi per settimane di lettere al direttore, di documenti di denuncia, di accuse di oscurantismo medievale e di ingiurie di ogni tipo e infine buoni padri di famiglia con nessunissimo interesse economico personale nella questione, trascinati in tribunale. Il tutto ad opera delle scandalizzate vestali del nostro animalismo fondamentalista, quello che ci vede come l’Impero del Male, proprio come gli ayatollah guardano all’Occidente”.
La proporzione non lascia dubbi. Il numero dei cavalli morti ogni anno negli ippodromi è paragonabile alla statistica sui decessi causati nei palii in decine di anni. Secondo l’Associazione inglese Animal Aid ogni anno negli ippodromi muoiono oltre 400 cavalli nella sola Inghilterra. Gli animalisti australiani hanno stimato in 8 mila all'anno il numero dei cavalli morti per l'ippica.