Qualche giorno fa il docente universitario Gherardo Ortalli, in polemica con l'associazione Cultura Rurale, affermava: “Chiunque può impegnarsi per la tutela del paesaggio, ma le associazioni che hanno come scopo primario altre finalità (caccia, pesca, ciclismo o altre), lasciano sempre molte perplessità. Il paesaggio è un patrimonio condiviso e nessuno ha il diritto di dire sono io che lo tutelo o sono io che lo guardo, nel bene o nel male significa sempre volersene occupare”. Dopo la puntuale risposta di Massimo Zaratin, delegato AIW Veneto, anche il Segretario Nazionale dell'associazione, Franco Zunino, dice la sua:
"Ha ragione il Professor Gherardo Ortalli: “nessuno può dire l’ambiente lo gestisco io”; quindi neppure loro, infatti (inteso a chi egli rappresenta)! L’ambiente lo gestisce la società tutta, nel senso che in una società a democrazia compiuta (come non è la nostra) tutte le idee devono essere ascoltate e, se del caso, prese in considerazione, a prescindere da chi le enuncia".
"Se le idee di Henry David Thoreau non sono più valide per chi difende la caccia e la ruralità - come lascia intendere il professore, ndr - allora non devono valere neppure per gli ambientalisti ed anticaccia in genere. Invece, guarda caso, per qualcuno le idee di Thoreau contro la caccia sono vangelo, mentre sono vecchiume fuori tempo quelle in difesa del diritto umano alla caccia! Ad usurpare “qualcosa che fa parte della collettività”, come ha scritto il Prof. Ortalli, non sono i cacciatori che ritengono di poter continuare a praticare il loro sport, ma chi ritiene di non permetterglielo più con la pretesa di “essere depositario” di una moderna cultura ambientalista. Quello che è certo è che, come scrive anche Ortalli, non solo i fruitori in senso ricreativo degli spazi naturali debbono avere il diritto di dire la loro (i quali, anzi, forse hanno certamente meno diritto di chi vede il mondo naturale come un valore di per sé ed un luogo dove ricreare lo spirito più che soddisfare fisiche esigenze ricreative e/o agonistiche o, peggio, meramente economiche o commerciali), ma anche chi persegue una filosofia di vita che vede nella spiritualità, intesa come appagamento emotivo nel vivere l’ambiente, un valore superiore; appagamento che anche molti cacciatori ricercano al di là del momento dello sparo - che a volte non giunge mai o giunge molto di rado, spesso meno di quanto immaginino gli anticaccia di principio che credono la wilderness un paradiso terrestre, quando è in realtà un mondo violento di vita contro vita che solo noi umani troviamo sublime per ragioni che fanno parte della nostra interiorità. Perché la wilderness tanto sublime non è affatto, e lì forse il cacciatore è ancora l’unico uomo non postosi fuori dal cerchio della vita e della morte che è nella sua completezza. Thoreau stesso accettava la caccia in questa condizione, ed egli stesso la praticò".